A DON GIUSEPPE BONFIRRARO PARROCO DELLA PARROCCHIA MARIA S.S. DELLA STELLA DI BARRAFRANCA, ED AMICO

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         Quando penso a Padre Giuseppe Bonfirraro, scomparso il 16 Dicembre 2009, un mare di ricordi si accavallano nella mia mente, senza trovare uno schema logico in cui collocarsi.
         Come onde che si incalzano, i pensieri di molti anni non riescono a dipanarsi in un inizio ed una successione temporale: quando è iniziata la nostra amicizia alimentata dalla comune passione per la pittura? La memoria lontana di molti decenni sbiadisce nel tempo, e ciò che rimane è un legame fatto di familiarità e rispetto reciproco, che neanche la morte riesce a scalfire.

         La sua esistenza  è stata accompagnata per molti anni dalla malattia, che egli ha trascurato per gli impegni del suo ministero sacerdotale, al quale consacrava tutto se stesso, con una dedizione totale. Non ricordo in quanti ospedali sia stato ricoverato, o quanti interventi, sempre più lunghi e dolorosi, abbia subito: ogni volta però ritornava, come ricaricato di novello fervore, per dedicare la sua vita alla gente, specialmente ai bisognosi.

         A molti che lo osservavano dall’esterno il suo comportamento sembrava contraddittorio.
Egli, che aborriva le ingiustizie, si offriva di segnalare dei “padri di famiglia” disoccupati a datori di lavoro, ai quali a sue spese regalava dei dipinti per far ottenere loro un impiego anche temporaneo…! Quante persone ha “raccomandato”, quanti dipinti ha dato !…non sapeva dire di no a nessuno, forse per timidezza o per non dispiacere gli altri.  Molto spesso era amareggiato, perché il dono non era gradito e la sua arte non era apprezzata, e si riprometteva di cambiare…ma dopo un po’ ritornava a donare e a darsi a tutti, senza risparmiarsi.
         Se ne aveva occasione, tuonava dal pulpito dicendo la “ sua verità”,  senza false ipocrisie.”La verità vi rende liberi”, soleva dire; altre volte non aveva il coraggio di parlare, e si trincerava in complimenti esagerati ed ossequiosi…
         Quando si arrabbiava, si indignava o si amareggiava per il comportamento di alcuni, specialmente delle persone a lui più vicine, dalle quali pretendeva una vita integerrima come la sua, reagiva a volte in modo esagerato, ma alla fine prevaleva sempre in lui il “rispetto” per l’essere umano.
         Quelle che sembravano le sue “contraddizioni” erano in realtà atteggiamenti che scaturivano dal rispetto e dall’amore per gli uomini, specialmente per gli umili, e da una fede vera e profonda.”Nella Sua volontà, è la mia pace” era solito ripetere.

         Il male intanto avanzava inesorabilmente, minava il suo viso e il suo corpo, ma non scalfiva il suo spirito, il suo entusiasmo e il suo offrirsi interamente al prossimo ed alla Parrocchia, che considerava come la sua seconda casa.
         Dopo un primo periodo di cecità completa alla quale si era a stento rassegnato, con un intervento innovativo in una clinica di Roma riuscì a riacquistare la vista di un occhio, con la speranza di vederci anche dall’altro.
         Ed ecco un nuovo tempo di fervore e di impegno artistico, durante il quale creò i suoi ultimi dipinti, mai risparmiandosi nel suo ministero pastorale, per il quale elargiva tutti i suoi averi, nulla serbando per sé, neanche per i bisogni essenziali e per le cure necessarie. Viveva alla giornata, donando o spendendo tutto ciò che aveva, con una generosità che a volte rasentava la prodigalità; non accumulava per sé (.. non accumulate tesori sulla terra…), non pensava al suo domani, ma confidava nella Provvidenza (…dacci oggi il nostro pane quotidiano…).
         Era un prete fuori dagli “schemi”, spesso scomodo: denunciava dal pulpito le ingiustizie e le arroganze dei potenti e dei politici, a volte tuonava contro “i mercanti del tempio”. Dava tutto al prossimo ed alla chiesa, viveva del necessario, era povero: per questo era “mormorato”; era ben voluto da alcuni, e mal sopportato da altri..

         Con il tempo la malattia andava aggravandosi. Perse di nuovo la vista e questa volta per sempre, ma non si rassegnò, trovando sempre la voglia di combattere, di aggrapparsi alla più piccola speranza…ancora viaggi alla clinica di Roma con la fiducia di recuperare di nuovo la vista…ma il male corrodeva dall’interno il suo viso, i suoi occhi, la sua testa.
         Mi chiedevo dove prendesse l’energia per lottare, per non farsi vincere dal male. Non ha mai manifestato rammarico con la richiesta del  perché della sua infermità, non si è mai lamentato; forse non ha mai pregato solo per sé, ma soprattutto per gli altri.
         Ogni volta che andavo a trovarlo e mi accomiatavo da lui, mi salutava con queste parole:”Professore, preghi per me!”
         Durante la lunga malattia, che lo costringeva a casa accudito sempre dall’instancabile e vigile signora Libina e medicato dal generoso Alessandro, le visite degli amici, dei conoscenti, dei confratelli e dei parenti andavano scemando fino a rimanere i più intimi a visitarlo regolarmente. Di questo un po’ si rammaricava e mi ripeteva  il famoso proverbio: “I veri amici si vedono nel bisogno”.
 
         Negli ultimi tempi restammo in pochi a frequentarlo, anche perché il suo viso corroso era inguardabile. Io, quando andavo a visitarlo, mi accorgevo che il suo spirito perdeva man mano la forza di resistere, ma manteneva la “dignità” di vivere, se pur nella sofferenza silenziosa e nella  solitudine buia..”Mi fanno compagnia Gesù e la Madonna” si consolava, mettendosi tutto nelle loro mani  La fede profonda gli faceva accettare la malattia con rassegnazione: “Facciamo quello che vuole il Signore”.
    Continuavo a chiedermi dove trovasse ancora il desiderio di vivere,  egli che era diventato tanto gracile e non aveva più l’energia di alzarsi dal letto…gli ultimi giorni, quando la sofferenza ormai era indicibile, mai un lamento uscì dalla sua bocca, anche se ammetteva che “il mal di testa non lo abbandonava più!”
  
         L’agnello ormai era purificato per entrare nel Regno del Padre…!
   
         Durante la mia ultima visita, prima che io andassi via, mi salutò pronunciando a stento queste parole: “Grazie.., professore!”

      Grazie a te, padre Bonfirraro
- per averci insegnato ad amare la vita, nonostante tutto
- per averci insegnato a non perdere la dignità, anche nella sofferenza
- per averci insegnato ad indignarci di fronte alle ingiustizie
- per averci insegnato a confidare nella Provvidenza
- per averci insegnato ad anteporre a tutto il rispetto della persona
- per averci insegnato ad amare gli altri, soprattutto gli umili, come noi stessi
- per averci insegnato a non aver paura di dire la verità
- per averci insegnato che la vera fede smuove le montagne
- per averci insegnato che le vere ricchezze sono quelle del Cielo
Grazie!

Barrafranca, Gennaio 2010                                                                    
                                                            Gaetano Vicari