DISCORSO DI GAETANO VICARI IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA DI DIPINTI DI DON GIUSEPPE BONFIRRARO

      Ho voluto fortemente la realizzazione di questa mostra, perché la persona e l’opera di don Giuseppe Bonfirraro, mio amico personale e collega nella pittura, meritano di non essere dimenticate.
      Nonostante le ovvie difficoltà, siamo riusciti ad allestirla, principalmente con l’aiuto fattivo e l’impegno del comitato promotore, formato dai gruppi della Chiesa Madre e della Parrocchia Maria S.S. della Stella guidati da padre Benedetto e dal gruppo della Pro Loco, guidato dal vice presidente Totò D’Angelo: ringrazio tutti di cuore.
      Sono stato sempre vicino a Padre Bonfirraro e l’ho accompagnato e seguito in tutto il suo percorso pittorico. Il nostro sodalizio artistico è durato tutta la sua vita. Veniva a dipingere quasi giornalmente presso il mio studio, che abbiamo diviso da sempre . In questo studio creavamo i nostri dipinti, con uno scambio ed un arricchimento artistico e culturale piacevole e familiare.
      Nonostante i numerosi impegni pastorali, riusciva a trovare sempre un po’ di tempo da dedicare alla pittura, per la quale nutriva tanto  amore e tanta passione.
      Mi resterà sempre impresso nella memoria il suo tocco leggero…il suo modo tutto particolare di sfiorare la tela con il pennello…
      Padre Bonfirraro rivive in ogni suo quadro, creato con una sensibilità artistica fuori dal comune: in ogni suo dipinto c’è un pezzetto della sua vita, con la sua gioia, il suo tormento, la sua serenità, la sua indignazione,  la sua sofferenza, e soprattutto la sua fede profonda.
      Padre Bonfirraro resterà sempre con noi in ogni suo dipinto, che testimonia in particolar modo la sua grande generosità  ed il suo altruismo illimitato, perché quasi sempre ogni sua opera è un dono disinteressato, donato con gioia senza chiedere nulla in cambio.
Tutta la cittadinanza di Barrafranca ringrazia padre Bonfirraro che, con la sua arte, ha contribuito, contribuisce e contribuirà a dare fama e lustro alla nostra cittadina.

Barrafranca, Salone Chiesa Madre, 17/12/2010
                                                                
                                                                                      Gaetano Vicari

I FANTAUZZO A BARRAFRANCA

    E’ difficile parlare di un artista poco conosciuto, di cui nessuno ha ancora scritto in modo esauriente e definitivo, ed è ancora più difficile scrivere su persone alle quali si è legati da vincoli di parentela: si rischia di essere poco obiettivo e di lasciarsi trascinare dal “richiamo del sangue”. Queste due difficoltà provo ora, che mi accingo ascrivere sui Fantauzzo, in primo luogo perché non esiste nessuna pubblicazione sulla loro vita e sulla loro opera (tranne un articolo apparso su “Il Pungiglione” del Marzo del 1984, che parla dell’attività dei Fantauzzo a Mazzarino, scritto dal dott. Antonino D’Aleo); in secondo luogo, perché Giuseppe Fantauzzo, l’iniziatore della tradizione artistica della famiglia e il più importante, fu il mio bisnonno da parte di madre.
    Dopo questa doverosa premessa, cercherò, nella stesura di quest’articolo, d’essere quanto più è possibile imparziale, tanto più che le mie deduzioni possono essere facilmente verificabili dovendo io parlare dell’opera dei Fantauzzo a Barrafranca
    Giuseppe Fantauzzo nacque a Barrafranca il 26 Gennaio 1851 da Carmelo, nato a Mazzarino il 1814, e da Agata Guarneri, nata a Barrafranca il 1823. Il padre esercitava il mestiere di ciabattino e, come abbiamo detto, era originario di Mazzarino. Egli, dopo il matrimonio con Agata celebrato il 5 Giugno 1839 a Barrafranca, si trasferì in questo paese. Prima di Giuseppe, aveva generato Fortunata (12 Marzo 1840), Marianna (20 Novembre 1841), Amedeo 1° (20 Febbraio 1844), Amedeo 2° (16 Settembre 1845), e i gemelli Amedeo 3° e Giuseppe 1° (17 Giugno 1848). Dopo Giuseppe 2°, erano nati Santo (2 Novembre 1853) e Vincenzo (27 Agosto 1855), Quasi sicuramente Amedeo 1°, Amedeo 2° e Giuseppe 1°, morirono dopo pochi mesi dalla nascita, ma non abbiamo notizia della loro morte prematura; sappiamo soltanto della morte di Santo, avvenuta il 15 Luglio 1854, a meno di un anno dalla sua nascita.
   
   Nel 1858, per ornare di stucchi la chiesa Maria Santissima della Stella, fu chiamato a Barrafranca il grande Vincenzo Signorelli, che lavorava aiutato dal fratello Salvatore. Vincenzo nacque a Siracusa da Gaetano e Caterina Colombo dei Conti Danieli nel 1825 e fu professore di Architettura e Disegno Plastico presso le Scuole Magistrali, Tecniche e Normali di tutto il Regno d’Italia.
    Sicuramente il piccolo Giuseppe di appena sette anni, dovette recarsi molto spesso a vedere lavorare il grande maestro e dovette restare affascinato dalla bellezza e perfezione della sua opera. Non abbiamo notizia se sia stato al servizio del Signorelli, durante i lavori eseguiti nella chiesa Maria Santissima della Stella, ma già lo troviamo al suo fianco quando, in seguito, fu affidato al maestro il compito di decorare la Chiesa Madre. Sconosciamo la data esatta dell’esecuzione degli stucchi di questa chiesa, ma sicuramente nel 1876 dovevano essere completati, perché abbiamo notizia che la morte colse il Signorelli nel nostro paese appunto in quest’anno, dopo 51 anni di vita.
    Giuseppe Fantauzzo, allievo di un così grande maestro, ne accettò consapevolmente e deliberatamente l’eredità artistica e si ritenne il suo continuatore. Insieme al fratello Amedeo, realizzò pregevoli stucchi e statue nelle principali chiese di Barrafranca, Grammichele, Aidone, Pietraperzia, Piazza Armerina, Mazzarino, ecc.
    La prima grande opera di Giuseppe Fantauzzo a Barrafranca fu la decorazione della chiesa Madonna dell’Itria. Gli stucchi coprono tutto l’interno in un susseguirsi continuo di fiori, piante, angeli, festoni, come se non dovessero finire mai, in un crescendo continuo. Anche se riveste quasi tutta la volta e le pareti, l’ornato degli stucchi si presenta contenuto e non soverchia e nasconde la struttura architettonica della chiesa, che risulta nitida e chiara. Dall’esame degli stucchi, possiamo collocare la loro esecuzione forse tra il 1876 e il 1880.
    Nell’eseguire quest’opera il Fantauzzo subì ancora l’influsso del suo maestro, il Signorelli. Infatti, l’insieme degli stucchi, in cui il classico e il barocco s’intrecciano senza soluzione di continuità, richiama quello della Chiesa Madre, ma già s’intravede la personalità dell’autore, in modo più velato nei bassorilievi della volta e in maniera molto più chiara nella soluzione della parte absidale con uno pseudo tempietto, sostenuto da otto colonne, quattro da ogni lato, e terminante a semicupola a tutto sesto, ornata da statue. Questa sarà la caratteristica del Fantauzzo, il quale la ripeterà con più o meno varianti, quando eseguirà la decorazione di altre chiese nei diversi centri della Sicilia.
   In alto la volta è divisa in cinque parti, che racchiudono ovali con bassorilievi, i quali rappresentano: l’Annunciazione, la Madonna dell’Itria, l’Assunta, San Francesco di Paola, e la Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù. All’epoca del rifacimento della chiesa da parte del Fantauzzo, gli ovali della volta, quasi sicuramente, dovevano corrispondere ai Santi venerati sugli altari delle pareti: attualmente alcuni ancora concordano, altri sono scambiati di posto, altri ancora completamente diversi.
    In questi bassorilievi il Fantauzzo con minimo sfoggio plastico, con gradazioni di piani appena percettibili, attraverso cui si realizza la prospettiva, raggiunge la massima densità di forma e di espressione.
   
   Tra il 1880 e il 1890, il Fantauzzo ebbe l’incarico, sempre a Barrafranca, di decorare con stucchi la della Madonna delle Grazie. Il nostro nell’eseguire quest’opera, abbandonò lo stile del maestro e ritrovò la sua vera fisionomia, che continuerà nella decorazione della cappella del Seminario di Piazza Armerina, forse il suo capolavoro. L’insieme degli stucchi risulta quasi geometrico ed elegante, ma nello stesso tempo rivela una certa ingenuità sognante: ne scaturisce un grande senso di pace e di serenità, che invita al raccoglimento ed alla preghiera.
    L’altare maggiore è sormontato da un arco a tutto sesto, sorretto da colonne. In alto, ai lati, due statue rappresentanti angeli; al centro una raggiera con il simbolo della Vergine; all’interno sopra la nicchia, un bassorilievo della Madonna delle Grazie. Il Fantauzzo, nel fermare l’immagine degli angeli e della Vergine, si rivela promotore di una nuova severità stilistica di gusto antico, ma al tempo stesso talento sensibilissimo al carattere dei suoi soggetti, ed una certa essenzialità della forma e dei panneggi, con un linguaggio concretamente innovatore.
   
   Verso il 1890, Amedeo si separò da Giuseppe, in quanto per motivi di lavoro dovette recarsi a Palermo, dove si sposò e si stabilì; ma Giuseppe non rimase a lavorare da solo: a parte i numerosi allievi, che egli trattava con amorevole severità, c’erano soprattutto i suoi figli, nati dal matrimonio con Assunta Guerrieri, avvenuto a Barrafranca intorno al 1873.
    Degli otto figli, quattro maschi (Giuseppe (Barrafranca 1887-1914), Carmelo Barrafranca 1879-1906), Calogero (Barrafranca 1882-1967) e Salvatore (Mazzarino 12-10-1894- San Cono 29-04-1959) e quattro femmine (Agata, Alfonsina, Annunziata e Fortunata Maria Assunta), soprattutto Carmelo, Calogero e Giuseppe mostravano una particolare attitudine per l’arte ed aiutavano il padre secondo le loro possibilità. Un valido aiuto il Fantauzzo riceveva anche dal nipote Antonino Musolino, il continuatore dell’opera del nostro con Carmelo e Calogero. Antonino Musolino, pittore, stuccatore e scultore, fu l’autore, fra l’altro, delle statue poste sulla facciata del Teatro “Garibaldi” di Piazza Armerina., Di lui ricordiamo il disegno a penna acquerellato del progetto del Carro Trionfale della Madonna del Mazzaro, realizzato nel 1900 a Mazzarino.
    La decorazione della Chiesa della Madonna dell’Itria e di quella della Madonna delle Grazie, sono le opere più importanti realizzate da Giuseppe Fantauzzo a Barrafranca, ma abbiamo detto, egli operò in molti altri paesi, e quasi sicuramente ogni che riceveva una commissione di una certa consistenza, si spostava in quel paese con tutta la famiglia.
    A Grammichele dovette dimorare a lungo, come attesta la quantità delle opere realizzate, e proprio in questo paese dovette avvenire la prima caduta del Fantauzzo dall’alto di un ponte di legno, con conseguenze non gravi. Continuò la sua opera di pittore, scultore, architetto ed adornista plastico; ma una seconda caduta, avvenuta questa volta a Mazzarino, mentre restaurava il “cappellone” della Chiesa del Carmine, dovette riuscirgli fatale.
    Si racconta che “caduto in piedi”, sembrò non aver riportato alcun danno e si recò presso l’originaria Barrafranca, dove, dopo otto giorni, morì all’improvviso, nel 1899 a soli 49 anni.
    Ne continuarono l’opera i figli Carmelo, allora ventenne, Calogero, di diciassette anni, e il nipote Antonino Musolino. Li troviamo a lavorare insieme, sempre nel nostro paese, verso i primi del 1900, quando si ampliò la chiesa Maria Santissima della Stella, con l’aggiunta delle navate laterali, che furono ornate da stucchi.
   Carmelo, che era il vero continuatore dell’opera del padre e che faceva prevedere un livello artistico non inferiore, fu in particolare gessista e stuccatore, restò celibe e morì a ventisette anni nel 1906 (di lui rimane anche un libretto di poesie); Antonino Musolino emigrò in America; e Calogero,che aveva maggiormente la funzione di muratore che di stucchista, non si occupò più di arte. Non si interessò mai di arte l’altro fratello Salvatore, che fu Segretario comunale a San Cono dove il 21-12-1927 sposò Maria Mulè, da cui ebbe il 13-09-1928 la figlia Maria Assunta.
    Un accenno a parte merita l’altro figlio Giuseppe junior, che fattosi sacerdote, scolpì le edicole che contengono i quadretti della Via Crucis della chiesa del convento di San Benedetto. Le nicchie sono tutte in legno, finemente lavorato e traforato, impreziosite in basso da pennacchi e da guglie che s’intrecciano e si susseguono, decrescendo dal centro verso l’esterno. L’opera fu eseguita verso il 1914, alle soglie della prima guerra mondiale; nello stesso anno l’autore morì a soli ventisette anni. (Dopo la chiusura al pubblico della Chiesa perché pericolante, la Via Crucis fu trasferita dalle suore in un’ala del corridoio superiore del Convento, adibita a Cappella, fino al 1984. Da allora non se ne ha più notizia).
    Nel campo della scultura si distinse anche il nipote di Giuseppe Fantauzzo, il figlio del fratello Vincenzo, Carmelo, nato a Barrafranca il 6 Novembre 1879. Il padre Vincenzo, si trasferì con la famiglia a Milano, ed ebbe oltre a Carmelo altri due figli Amedeo e Gaetano (invalido di guerra).
    Carmelo Fantauzzo, trasferitosi in Francia, nel 1910 era già  un affermato scultore di Parigi, come attesta una “Deliberazione del Consiglio Comunale di Barrafranca”del 10 Luglio dello stesso anno. A Parigi conobbe Renèe Obeler, che sposò a Lambrate il 22 Settembre 1915. Dopo il matrimonio ritornò a Parigi, per trasferirsi di nuovo in Italia nel 1919, dove morì il 18 Febbraio 1922.
   
    Quelle sopra descritte sono le opere certe dei Fantauzzo a Barrafranca; ma per amore di cronaca ne vogliamo citare altre tre, che si trovano nella chiesa Maria Santissima della Stella e che la testimonianza dei discendenti attribuisce ad uno dei Fantauzzo, non si sa però chi. Si tratta della bellissima statua di San Luigi Consagra, della decorazione esterna della cupola del campanile, e delle “figlie di Maria”, figure dipinte ai lati della “Madonna dei raggi” di Francesco Vaccaro.
   
    Dopo aver esaminato l’attività artistica dei Fantauzzo a Barrafranca, si può cercare di dare un giudizio sulla loro opera, ma un vero e proprio giudizio si può formulare solo su Giuseppe, il cui livello artistico si differenzia notevolmente da quello degli altri, tanto più che i figli, e in particolare Carmelo, morti quasi tutti prematuramente, come abbiamo detto, non hanno avuto il tempo di esternare le loro possibilità artistiche.
    Siamo di fronte ad un grande misconosciuto dell’arte italiana dell’ottocento, pur trattandosi di un artista d’incomparabili risorse di grazia, fantasia fervore plastico e ornamentale. Egli, infatti, dopo essersi liberato dagli influssi del Signorelli, manifesta tutta la sua personalità,che assorbe i contrasti e le incertezze del suo tempo, rivivendole con una personalissima impronta di serenità, di leggerezza e di delicatezza.
    A classificarlo basta quella specie di poema plastico che anima la Chiesa della Madonna delle Grazie a Barrafranca, con pastoso e delicato congegno di statue, rilievi ed ornati.
    Con una tecnica incredibilmente applicata ad una materia relativamente povera quale lo stucco, egli sembra preludere all’arte moderna, tramite la sua visione di severa staticità, che adombra la compostezza classica; non si tratta però di un classicismo di recupero, bensì di una versione del tutto originale in cui l’artista riversa il suo amore per la vita semplice, informata da sentimenti elementari. Il Fantauzzo non è un novatore rivoluzionario, ma ridona alla scultura, al rilievo ed all’ornato una nuova dignità, mediante un linguaggio rigorosamente fondato su una misura architettonica, che esalta i superbi equilibri delle masse modellate.
    Da quanto detto, si evince che il Fantauzzo si possa ritenere un precursore dell’arte moderna. Nella sua opera, infatti, va affiorando una sensibilità del tutto differente da quella antica, una nuova intelligenza formale, che dovrà progressivamente acquisire una nuova dimensione, perché no sopranazionale: il nostro va tentando la costruzione di una forma espressiva autonoma, essenziale e perciò prettamente moderna. Sicuramente, a nostro modesto parere, non ci troviamo di fronte ad un uomo con una formazione chiusa e provinciale, ma davanti ad un artista abbastanza aggiornato e sensibile ai richiami culturali provenienti dai centri non solo italiani, ma anche europei; ad un artista da essere rivalutato e con tutte le caratteristiche in regola per entrare, anche se in punta di piedi, nel gran concerto dell’arte internazionale.
    Voglio concludere questo mio lavoro con una curiosità, se così si può chiamare: il nome dei Fantauzzo del ramo del grande Giuseppe è destinato ad estinguersi, perché attualmente esiste solamente, con questo cognome, discendenza femminile.
    (Per la stesura di quest’articolo mi sono avvalso del mio volume “Guida alle principali Chiese di Barrafranca ed ai loro tesori nascosti”; dell’articolo “I Fantauzzo nell’arte” di Antonio D’Aleo; e soprattutto della testimonianza orale dei diretti discendenti di Giuseppe Fantauzzo).
                                  Gaetano Vicari

    
   
     
   

30° ANNIVERSARIO DELLA BENEDIZIONE E DELL’INCORONAZIONE DEL NUOVO QUADRO DI MARIA S.S. DELLA STELLA (Testimonianze dell’autore Prof. GAETANO VICARI)

     Sono stato sempre affascinato ed attirato dall’immagine della Madonna della Stella, compatrona di Barrafranca. Ascoltavo da piccolo con interesse ed attenzione i racconti che si tramandavano sul dipinto miracoloso, come quello dell’invasione dei “grilli”(in realtà locuste) che una volta danneggiavano il raccolto e che, per intervento della Madonna portata in processione, si raccolsero prodigiosamente sul tetto della chiesa. La distruzione delle messi fu scongiurata… ma un grillo impertinente punse il volto della Vergine, da cui stillò una goccia di sangue…
    Tutte le volte che avevo occasione di osservare da vicino il quadro della Compatrona, cercavo di scorgere i segni di questi racconti, e scrutando attentamente distinguevo sul volto la piccola macchia di sangue, oppure… i sette veli (in realtà ne vedevo ed era uno), che dovevano  proteggere la madre di Dio e velarla agli occhi dei fedeli che la invocavano e chiedevano le grazie, quale icona potente e distante, ma nello stesso tempo vicina…
     Tralascio di parlare delle origini della pala, perché ci si avventurerebbe nel groviglio delle ipotesi: fu dipinta nel 1330, quando la famiglia Barresi comprò il Casale di Convicino, favorendo la prima ondata di immigrati militellesi o nel 1572 durante la loro più massiccia immigrazione?
    Quello giunto a noi era un rozzo dipinto ( ad olio? a tempera?) su tela distesa su legno, rovinato, più volte ritoccato, in alcune parti ridipinto, (specialmente nel san Giovanni Battista), e con la figura della Vergine completamente ricoperta da finte vesti di seta, tranne il volto e le mani.
   “La Vergine, maestosamente seduta sotto un baldacchino, allattava il Bambino mentre il suo sguardo materno era perduto lontano, in un punto al di fuori del quadro; ai suoi lati in piedi due figure di santi, sant’Alessandro e san Giovanni. Nelle figure rappresentate nel dipinto, si notava, principalmente nella Vergine e nel sant’Alessandro, l’uniformità dei volti: una tipologia unica e senza una sostanziale caratterizzazione. Si trattava di una tipologia basilare che voleva portare i volti al di sopra di ogni altra precisazione. Anche il repertorio di segni di cui il pittore disponeva era ridotto all’essenziale: erano pochissimi, ma perfettamente rapportati alla semplicità del tessuto pittorico ed alla sintesi delle immagini. L’opera sembrava eseguita perfettamente per rispondere allo scopo prefisso, quello di richiedere con semplicità l’attenzione di gente semplice”. La tela era impreziosita da diversi ex-voto e nel periodo della festa la testa del Bambino era ornata da una corona, mentre quella della Madonna da una corona e dallo Stellario, oggetti tutti in argento.
     Il tempo della ricorrenza, i primi di settembre, era un tripudio di giostre, colori, odori e luci, che per tutto il periodo della “quindicina” si concentravano in Piazza Fratelli Messina tra le bancarelle dello zucchero filato e dei “bomboloni” avvolti nella carta oleata variopinta. Il tutto culminava  l’otto settembre con la banda che raccoglieva le offerte per le vie del paese, la corsa “di ritini” traboccanti di grano, la Messa solenne, la processione con lo sparo di mortaretti ed infine “u castiddu ‘ u fucu”…
     Nel giorno della festività normalmente però passava per la “via dei Santi” del paese la reliquia del  “capello della Madonna”, ma il settimo anno era quello della festa grande, con la processione dell’antico quadro  e di tutte le statue dei Santi del paese: san Francesco, sant’Antonio, santa Rita, santa Teresa ecc…: erano disposte in due file e precedevano solennemente l’immagine della Compatrona su un carro riccamente addobbato…
     In seguito (1963) si abbandonò questa tradizione e si fece uscire il dipinto  ogni anno: una volta fu posto su un camion con una gradinata ornata da stoffe bianche, su cui stavano dei bambini vestiti da angeli, che pregavano la Madonna Della Stella posta alla sommità…un’altra volta noi giovani del Circolo Cattolico decidemmo di ripristinare l’antica consuetudine di portare la Madonna in processione a spalla, primo tentativo di un’usanza consolidatasi negli ultimi anni.
     Il popolo barrese ha manifestato e continua a manifestare  una devozione profondamente radicata alla Madonna della Stella e le attribuisce l’elargizione di molte grazie: ne sono testimonianza i tanti oggetti d’oro che i fedeli le offrivano e le offrono. La maggior parte dell’oro veniva esposto per ornare la stoffa che copriva la veste e il manto della Madonna .
    Si crede che forse questa grande quantità d’oro sia stata la causa del furto sacrilego avvenuto nella notte tra il 19 e il 20 giugno del 1977.

     Ricordo che appresi la notizia del trafugamento della pala della Madonna della Stella la mattina del 20 Giugno 1977, nei pressi dell’incrocio tra la via Vasapolli e la via Principe Scalea. “Dopo un primo attimo di sbigottimento, ancora incredulo, corsi subito in Chiesa.  Appena entrato, gli occhi si posarono là, sull’altare maggiore, nel posto dove sapevo si trovasse il dipinto: l’altare era come se apparisse diverso, come spogliato e profanato; anche tutta la Chiesa sembrava spogliata e profanata. L’arca, che conteneva l’opera, era vuota e nel telaio i resti della tela sfilacciata, testimoniavano la violenza con cui la tela era stata strappata.”
     Da allora, fino a questo momento non si è avuto più notizia del quadro e quell’anno, l’otto Settembre giorno della festa, Barrafranca non vide passare per le sue vie l’antica immagine, divenuta ormai familiare, di Maria Santissima della Stella.
    Dopo ripetuti appelli ai ladri, perché restituissero la sacra tela, il parroco della Parrocchia Maria S.S. della Stella don Giuseppe Zafarana, d’accordo con la Commissione d’Arte Sacra, stabilì  di indire un Concorso per una nuova pala della Compatrona. (Siamo tra le fine del 1977 e l’inizio del 1978).
    Decisi di partecipare e mi adoperai a procurare la tela  e tutto l’occorrente di ottima qualità. Il compito però era molto arduo perché si trattava di rifare un’opera che avrebbe sostituito la vecchia immagine, alla quale il popolo barrese era legato da sentimenti antichissimi di fede e devozione. La Madonna della Stella  aveva assunto per Barrafranca a poco a poco un grande valore familiare ed affettivo a discapito del patrono sant’Alessandro.
    Maturò così in me l’idea che, per continuare la tradizione, avrei concepito una composizione con la stessa sagoma della vecchia, nella quale la Madonna che allatta il Bambino  con i due santi ai lati sarebbe stata formulata con soluzioni personali, anche se classicheggianti.
    Cominciando l’esecuzione di questa intuizione, ben presto capii che si sarebbero presentati diverse difficoltà da risolvere e superare. Per iniziare, cercai di riprodurre le parti dell’antico dipinto che ritenevo più adatte all’idea che avevo progettato, come il cielo e, nei limiti del possibile, la figura del san Giovanni; ma gli altri personaggi dovevano essere completamente rielaborati.
    Avevo trasferito lo studio pittorico in un casolare di campagna, dove ogni giorno mi recavo a dipingere. Mi dedicai al quadro per quasi tre mesi. Fu un lavoro intenso, pieno di fervore e di delusioni, di ripensamenti e di soddisfazioni. Quante volte accarezzai con il pennello le gote della Madonna; quante volte rifeci e corressi gli occhi, cercando quello sguardo materno e puro; quante volte rifeci l’accenno del sorriso delle labbra: rifacevo, cercavo, sfumavo per trovare tra sguardo e sorriso quell’equilibrio, che avrebbe prodotto e fissato l’espressione materna, umana e sovrumana della Madre di Dio.
    La figura di sant’Alessandro ( per alcuni San Luca) non mi diede tanti problemi anzi mi procurò delle soddisfazioni nella realizzazione del broccato del piviale, della sua fibbia cesellata e dell’anello papale.(Stranamente il santo tiene in mano un libro, oggetto che forse avvalora la tesi la quale sostiene che prima si trattasse di san Luca, che adornato “con mitra e pastorale”[di questo non c’era e non c’è traccia nel dipinto] fu trasformato in sant’Alessandro).
   Come ho prima accennato l’attuazione di san Giovanni Battista fu la più vicina all’originale, anche se nell’eseguirla dovetti ricostruire l’anatomia del petto e del braccio, nell’antico dipinto troppo villosi, e rifare più realisticamente la canna e l’agnello.
    La parte del dipinto con la figura della Vergine doveva essere la  più studiata, perché, come perno della struttura, doveva creare, con l’alternanza  dei volumi, profondità, equilibrio e consistenza  all’insieme. La sagoma antica, che anche qui volli mantenere, determinò diverse difficoltà, specialmente nella posizione del Bambino, nell’originale troppo alto. La mammella che allatta, di conseguenza,  risultò anatomicamente inesatta (cosa che suscitò alcune critiche), anche se sostenuta e sollevata dalla mano della Vergine; e il cuscino su cui siede il Bambino divenne troppo pieno e un po’ sproporzionato: avrei potuto ovviare a questi “difetti”, abbassando il Bambino, ma preferii restare fedele al progetto iniziale. Nella mia scelta fui anche confortato dalle diverse iconografie della Madonna nel corso dei secoli in cui non sono rispettate le proporzioni anatomiche, ma le esigenze emozionali ed istintive dei singoli autori.
    Il panneggio del manto e della veste, interamente ricostruito, contribuì a dare profondità alla composizione nella successione delle parti in avanti illuminate dal ceruleo e dal rosa, e di quelle indietro ombreggiate e rese più profonde dall’oltremare e dal rosso cadmio scuro.
   Per finire ricreai la base del trono, della quale nell’originale non c’era traccia, per ripristinare la posizione della Vergine seduta, rispetto ai due Santi ai lati in piedi. La struttura risultò così ben definita su diversi piani, con i due Santi che si stagliano su un cielo mattutino, posti un po’ indietro, e con la Madonna sul trono in primo piano, la quale avanza in uno slancio d’amore verso i fedeli.
     Durante i mesi di incessante lavoro pittorico, il casolare di campagna fu meta di molte visite: amici, parenti, conoscenti venivano a trovarmi per vedermi dipingere e per ammirare l’opera, che a poco a poco prendeva forma. Molte cose furono motivo di discussione, qualche piccolo “difetto”, visto o scoperto da occhi diversi dai miei, venne corretto; altri particolari, frutto di convincimento ragionato, rimasero tali e quali…ma tutti erano concordi nel sostenere la  validità dell’ impostazione e l’armonia della composizione. (Venne anche il parroco don Giuseppe Zafarana ed un pittore barrese partecipante allo stesso Concorso).
   Man mano che il lavoro procedeva, si rafforzava in me la convinzione di andare creando una pala la quale mi recava, nell’esecuzione e nel risultato dell’abbozzo generale, una sensazione di appagamento, che mi spronava a proseguire, anche perché la scadenza della consegna incalzava.
Finita la fase della schematizzazione complessiva, mi dedicai alla cura dei particolari, cercando di non disturbare l’armonia e l’equilibrio dell’insieme.
   Le ultime rifiniture e i ritocchi richiesero molto tempo, anche perché in una tela di quelle proporzioni non si finiva mai di correggere, rivedere, ritoccare, sfumare…riservai speciale attenzione allo sfavillìo degli ori dei bordi, delle stelle e delle aureole (delle quali ho mantenuto le proporzioni originali, restando quella di San Giovanni più piccola rispetto alle altre), in un gioco equilibrato di ocra oro e giallo di cadmio. All’ultimo momento dovetti dipingere anche lo Stellario e la piccola stella cometa sul manto, (un amico mi aiutò a dividere il cerchio in dodici parti uguali).
    Allo scadere del tempo, a discapito della fatica fisica e mentale per l’impegno di mesi, l’immagine di Maria S.S. della Stella era completata: il dipinto nel suo insieme mi dava un senso di soddisfazione, percezione che cresceva man mano che osservavo il quadro anche nei particolari; e mi consolava il fatto che chi lo ammirava per la prima volta  e coloro che lo avevano visto realizzarsi esprimessero tutti lo stesso consenso.
    La tela fu trasportata nella Parrocchia Maria S.S. della Stella, dove vennero raccolte anche le altre opere partecipanti, contrassegnate dai seguenti numeri:
1. a firma di Giuseppina Mattina
2. a firma di Gaetano Salemi
3. a firma di Emilia Mendola
4. a firma di Adriana Satariano
5. a firma di Antonino Milazzo
6. a firma di Gaetano Vicari
7. a firma di Pasquale Mancuso
8. a firma di Giuseppe Puzzanghera.
La Giuria formata da
1. Mons. Gioacchino Federico, Vicario Episcopale e Presidente della Giuria
2. Mons. Giovanni Faraci
3. Parr. Luigi Faraci
4. Parr. Giuseppe Zafarana
5. Sac. Giuseppe Bonfirraro
6. Sac. Salvatore Nicolosi
7. Sac. Alessandro Geraci
8. Mons. Emanuele Cassarà, Segr. della Commissione d’Arte Sacra
9. Suor Angelica Sinatra, Sup. Comunità Domenicane di Barrafranca
10. Suor Elvira Sinatra.
11. Ins. Gaetano Orofino, rappr. Parrocchia Itria
12. Ins. Lucia Strazzanti, rappr. Parrocchia Madrice
13. Prof. Diego Aleo, rappr. Parrocchia Grazia
14. Sig/rina Benedetta Aiello, rappr. Parrocchia Madonna
15. Ins. Francesco Balsamo, rappr. Parrocchia Madrice, e Segretario della Giuria
16. Geom. Angelo Patti, rappr. Parrocchia Madonna
               (non si ha notizia dell’altro componente)
si riunì il pomeriggio del 12 e la mattina del tredici Agosto 1978, e dopo aver osservato e valutato attentamente tutti  i quadri partecipanti al Concorso, si espresse tramite votazione, che diede il seguente risultato:
-il quadro n. 6  a firma di Gaetano Vicari, voti 17, cioè l’unanimità
-il quadro n. 8  a firma di Giuseppe Puzzanghera, voti 10
-il quadro n. 4  a firma di Adriana Satariano, voti 5
-il quadro n. 3  a firma di Emilia Mendola, voti 2.
     Appresi la notizia della scelta della mia opera, mentre mi trovavo in via Umberto I. Tutti si congratulavano con me; “Radio Luce” volle registrare su una cassetta una mia intervista “a caldo”, da mandare in onda a più riprese. Nei giorni successivi andai a scrivere sulla tela la mia firma, che preferii mettere sul retro, per non disturbare l’equilibrio del dipinto.  Barrafranca aveva di nuovo la sua Compatrona, e quello che più mi appagava era la consapevolezza  che tutto era avvenuto per opera mia. Nello stesso tempo pensavo però di disabituarmi a questa idea e di comportarmi come se la pala non fosse stata dipinta da me.
       Per questo partecipai in modo ufficiale solamente alla Cerimonia di benedizione il 30 Agosto 1978.
      Assistetti alla solenne incoronazione della Madonna e del Bambino il 7 Settembre da parte del Vescovo mons. Sebastiano Rosso con nuove corone d’argento offerte da Maria Caltavuturo ved. Ferreri, mescolato in mezzo alla folla; e non ho mai voluto accompagnarmi alle Autorità dietro la nuova immagine della Madonna in processione il giorno della festa. A chi mi chiedeva che cosa provassi a vedere per le vie del paese il mio quadro, rispondevo che ormai non lo consideravo più una cosa mia, ma di tutto il popolo barrese, e in particolare di quei fedeli che pregano ed implorano la Madre di Dio: io ero stato solo il mezzo per la realizzazione di tutto questo.
   Una volta un rappresentante della Soprintendenza alle Belle Arti di Enna volle essere accompagnato a vedere il mio dipinto della Compatrona: dopo averlo ammirato, mi chiese perché avessi usato in alcune parti dei toni un po’ vivaci…”Lasciamo al tempo, alla polvere, al fumo delle candele… il compito di scurire i colori!” fu la mia risposta.
     (Ho rinunciato a tutti i diritti di autore delle varie copie dell’opera, chiedendo solo che nelle riproduzioni passate, presenti e future fosse posta la seguente scritta: “Opera di Gaetano Vicari)
                        Gaetano Vicari

BARRAFRANCA, 2008


 

DISCORSO DI DIEGO ALEO PER IL COMPLETAMENTO DEL DIPINTO DI S. SEBASTIANO DI GAETANO VICARI


PICCOLE COSE CHE CI FANNO GRANDI

    Sono le piccole cose che ci fanno grandi, che aggiungono piccole tessere al grande mosaico che è la nostra vita e la vita della nostra comunità.
    Mentre, infatti, la maggior parte del mondo si dibatte in una grande crisi economica dalla quale nessuno, purtroppo, ha chiaro come uscirne e mentre constatiamo che mancano ricette e terapie valide e idonee a guarire il grande ammalato, noi ci appressiamo a celebrare un piccolo, piccolissimo evento, ignorato non solo dai mass media, ma anche dagli abitanti di questa “rimota parte alla campagna uscendo”.
    Se tendiamo l’orecchio, qui, comprendiamo che viviamo, in un posto dove sentiamo l’abbaiare dei cani e il miagolio dei gatti e il canto degli uccelli e il tubare delle colombe; sentiamo il parlottare sonante delle donne e la voce grave dei soliti passanti; sentiamo il suono degli altoparlanti della chiesa che ci proiettano in un mondo fatto di valori e di spiritualità; assistiamo trepidanti alle albe e ai tramonti e sappiamo con certezza se pioverà, solo se offriamo i nostri visi di paesani incalliti alla brezza del mattino.
    Se accendiamo la tv, invece, entriamo in mondo finto, affollato di personaggi che non incarnano le nostre passioni e non risvegliano i nostri interessi, in un mondo dove vivono esseri che ci incantano con le loro promesse e che assopiscono il nostro naturale spirito bellicoso. Sono i “sapientoni ignoranti” che si riempiono la bocca di parole incomprensibili e tentano di addomesticare le nostre intelligenze e piegare il nostro spirito. E vediamo i predicatori di “cupo pessimismo” rivestirsi di abiti monacali e altri al contrario costretti a professare un “ottimismo fantastico” che trae vitalità solo dai fantasmi di un potere ormai decaduto e finito e disperso in un terreno improduttivo.
    In questo mondo che segna il nostro vivere quotidiano, oggi si incastona un piccolo evento che vivrà e crescerà e nel piccolo ci farà grandi interpreti e protagonisti di storie grandi.
    “E’ volontà di una signora donare a questa chiesa due tele, cosa ne pensate? Cosa rappresenteremo in esse?”   E’ il breve comunicato che il parroco della Parrocchia “Madre della Divina Grazia” di Barrafranca, don Salvatore Nicolosi, diffonde con vera soddisfazione. Ne parla con amici e sceglie anche il pittore che dovrà eseguire le due opere. Comunica l’idea nella predica della Messa domenicale ai fedeli che già proclamano i loro soggetti: “L’Addolorata!”, propone il prof. Pino Giunta e raccoglie il plauso di parte dell’assemblea,  e via via altre proposte che vivono e muoiono in un batter d’occhio.
    La proposta si rafforza e vive in un incontro non programmato, casuale tra il Parroco e il sottoscritto, segretario del Consiglio Pastorale della Parrocchia, nonché amico fraterno del Parroco. E’ in esso che si decide il progetto e i temi da rappresentare. Le tele saranno collocate nell’abside e impiantate ai lati dell’altare dentro le cornici di stucco già predisposte. Ad eseguirle viene chiamato il prof. Gaetano Vicari di Barrafranca, noto per la sua opera pittorica e per la sua convinta e matura religiosità. Gaetano Vicari è anche il pittore della Madonna della Stella, nostra veneratissima compatrona. Nel lontano 1977, infatti, il 20 luglio, l’antica tela con tutto l’oro che teneva cucito fu rubata e mai ritrovata. “Attualmente l’arca contiene un nuovo quadro della Madonna della Stella, dipinto nel 1978 dal prof. Vicari. Un anno dopo il furto, infatti, venne bandito un apposito concorso al quale parteciparono otto pittori. La  Commissione d’Arte Sacra, presieduta  dall’allora Parroco della chiesa “Maria S.S. della Stella” Sac. Giuseppe Zafarana, scelse all’unanimità il dipinto di Gaetano Vicari “ avendo riguardo della continuità storica e della finalità di culto che il nuovo quadro doveva avere”.  
    “E se invece di due fossero quattro le tele!” dice il sottoscritto “riusciremmo ad abbellire l’abside, il colore allieterebbe la nostra vista e due opere collocate vicino all’altare sarebbero visibili da tutte le parti”.  “Bellissimo!” fu l’immediata risposta del Parroco “si può fare. Due tele le offriamo io e mia sorella, una la paghi tu ed una tua cugina Pina ”. “Io!!!! e la casa? Dove li prendo i soldi….” “Non temere li anticipo io”. Fu tutto deciso e con la compiacenza anche del pittore furono scelti i soggetti: Due avrebbero rappresentato la storia della chiesa e due aspetti religiosi fondanti la nostra comunità. A sottolineare la storia della chiesa si decide di dipingere in una tela  S. Sebastiano, a ricordo principalmente del portale che dalla chiesa di S. Sebastiano, l’attuale Madrice, fu collocato in questa. Il secondo tema richiama la storia di Giuditta e Oloferne, dal momento che è rimasto nell’immaginario collettivo un evento: La rappresentazione della storia di Giuditta per le vie del quartiere. Ricordo indelebile, piccola cosa divenuta grande e rappresentata anche dalla prof.ssa Maria Costa in uno dei suoi spettacolari murali che ornano ormai 12 aule della scuola media nel plesso “Verga”.
    Gli altri due dovrebbero rappresentare, il primo il “Battesimo di Gesù”, il secondo “La visita di Maria S.S. a Santa Elisabetta”. 
    Giorno 28 Novembre 2011 è stato portato a termine dal prof. Gaetano Vicari il primo dipinto, raffigurante S. Sebastiano, olio su tela cm. 86x179; ed oggi 9 Dicembre 2011, in attesa di essere collocato in chiesa quando il progetto verrà completato, il dipinto è stato trasportato alle ore 18,30 dallo studio del pittore alla casa del sottoscritto, dove avrà provvisoria dimora . La decisione è stata presa dal pittore che ha anche espresso il desiderio di potere festeggiare l’avvenimento con la “pasta siringata”, dolce di cui è maestra la sorella del sottoscritto Rosa Aleo, collaborata dalle solite persone che vivono affiatate e unite: Pina Mancuso, Rosa e Lucia Marchì. 
    Il quadro rappresenta S. Sebastiano legato ad una colonna e trafitto da dardi e posto davanti al portale della Chiesa.  E’ proprio il portale in pietra scolpita il secondo protagonista del dipinto, poiché, come abbiamo detto prima, è lo stesso di quello dell’antica chiesa di S. Sebastiano, oggi chiesa Madre. Ciò si evince anche dal distico riportato alla base della nicchia, dove, si ritiene che fosse collocata una statuetta di S. Sebastiano.  Il dipinto è stato eseguito con grande maestria e con cura dei particolari, soprattutto quelli del portale, riprodotto con certosina elaborazione. Attrae subito la figura di S. Sebastiano, presentato secondo la tradizionale iconografia e  collocato in un gioco cromatico che varia dal giallo, al verde, dai toni caldi accostati ai toni freddi. Il santo, un bel giovane dalle forme aggraziate e possenti nello stesso tempo, volge lo sguardo in alto in atteggiamento di sofferenza e di donazione di se stesso per una giusta causa. Si intravede inoltre l’influsso dell’opera pittorica rinascimentale, soprattutto quella fiorentina e si sottolinea che a più riprese il Vicari ha avuto occasione di recarsi sulle rive dell’Arno, dove ha affinato il suo stile, studiando l’opera dei nostri grandi artisti del Rinascimento.  
    Questo meraviglioso e straordinario dipinto è il primo dei quattro soggetti progettati ed è stato donato alla chiesa dalla prof.ssa Pina Mancuso, generosa nell’impegno e silenziosa nel donare, nel rispetto della massima evangelica: “la tua mano destra non sappia quello che fa la sinistra”.
    Il prezzo concordato con il pittore è stato davvero irrisorio se si considera che per realizzare l’opera ci è voluto quasi un anno. Si tratta, certamente, di un prezzo simbolico e il pittore a riguardo ha voluto sottolineare che ha regalato alla chiesa gran parte del suo lavoro, che ha richiesto un lungo e faticoso impegno.
BARRAFRANCA, 9 DICEMBRE 2011

                                       Diego Aleo

IL VENERDI' SANTO A BARRAFRANCA

SETTIMANA SANTA 1993

Sono contattato dall’avvocato Luigi Barbaro, il quale mi comunica che sarebbero venuti dei professori di Torino per vedere e studiare il Venerdì Santo a Barrafranca.
Vengono dal C.L.A.U. Centro Linguistico e Audiovisivi Universitario- via Sant’Ottavio, 20- 10124 TORINO tel. 011/8174064  fax 011/8125815:
MARIA ROSARIA LA TORRE (Assistente Tecnico) Corso Toscana, 10/11   !0149 TORINO  tel. 011/290955.
ANNA MARIA ANCONA (Assistente Tecnico) Via Chiesa della Salute, 47   10147 TORINO  tel. 011/2161471
MARIO VERA (Collaboratore Tecnico) Via Monte Pertica, 8   10146 TORINO 
PIERCARLO GRIMALDI (Professore di Storia delle Tradizioni Popolari) Via Sanguanini, 7   14100 ASTI  tel. 0141/436358
AMBROGIO ARTONI (Professore di Semiologia dello Spettacolo e DIRETTORE del Centro Linguistico e Audiovisivi Universitario di Torino) Corso Dante, 173   14100 ASTI  tel. 0141/216748.
Riprendono tutta la giornata del Venerdì Santo e realizzano un FILM, la cui cassetta m’inviano in anteprima nel gennaio del 1994.
Il film è presentato a Barrafranca durante la Settimana Santa 1944 e precisamente i giorni Martedì 29 Marzo, Sabato 2 Aprile e Martedì 5 Aprile, presso il salone del Centro Incontro Anziani della Parrocchia Maria SS. Della Stella a cura del Centro di Cultura Giovanile e dal sottoscritto.
   Per l’occasione i Professori di Torino inviano il seguente fax:  Torino,lì 29/03/94
Chiar.mo Professore,
                                 come da intese intercorse, le trasmettiamo una breve relazione inerente al Venerdì Santo a Barrafranca.
   Un augurio di buon lavoro e soprattutto di buone Feste a tutti
                                                                             ANNA MARIA ANCONA
Caro prof. Vicari,
                            con i nostri migliori auguri per la prossima Pasqua, Le inviamo i sensi della nostra soddisfazione per l’iniziativa di proiettare pubblicamente il nostro documentario sulla festa del Venerdì Santo a Barrafranca…..
   Non so come giudicherete il nostro film, che è il risultato parziale del nostro incontro con la vostra comunità e con la cultura che esprime. Un incontro che ci ha arricchiti e che come in poche altre occasioni ci ha mostrato il significato del nostro lavoro, che è quello di dar voce e di far conoscere quanta ricchezza umana e culturale sappiano ancora esprimere le tradizioni orali.
    La nostra lettura è perciò stata partecipante, non ci siamo limitati a guardare ma, come sanno coloro che ci hanno aiutato nel lavoro di documentazione, abbiamo voluto immergerci nella vostra realtà culturale per conoscerla quanto più dall’interno, per condividerla, vogliamo dire.
   A Barrafranca abbiamo lasciato tanti amici, ma anche un pezzetto di noi. Se questa sera non possiamo esserci, è per impegni di lavoro che non ce lo consentono: ma ormai un certo contagio si è prodotto, e la sera del Venerdì Santo idealmente saremo lì, per le vie di Barrafranca, ad applaudire “U Trunu” e a unirci al grido dei vostri giovani: “Misericordia”.
   A Lei, professor Vicari, la nostra riconoscenza con la preghiera di esternarla a tutti coloro che ci hanno concesso di realizzare questo film, i cui nomi sono troppi per essere qui ricordati uno per uno.
   Ancora grazie, e a presto
                                                                             AMBROGIO ARTONI
                                                                             PIERCARLO GRIMALDI

p.s.: Il video “U Trunu” oltre all’utilizzo in sede didattica e scientifica universitaria è stato presentato:

- al Convegno Internazionale “Antropologia Visiva e Culturale della Rappresentazione, Il tempo delle feste in Europa”, organizzato dal Consiglio d’Europa in collaborazione con l’Università di Torino e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Torino, ottobre 1993);
- al Convegno del C.N.R. “Sei anni di attività del Comitato Nazionale per la Scienza e la Tecnologia del Beni Culturali” (Roma, marzo 1994);   
    E’ prevista inoltre la presentazione nella rassegna europea di programmi audiovisivi organizzata ad Atene per l’aprile 1994 dalla C.E.E. – Euroregio.
    Successivamente sarà presentato a Budapest, nel mese di novembre 1994 in occasione di un Convegno Internazionale di Etnologia.
             Della festa del Venerdì Santo a Barrafranca ed in particolare della processione di “u Trunu”, si sono occupati quasi tutti gli studiosi locali e dei paesi limitrofi, per la sua popolarità, suggestione e particolarità.
             Quella del Nicotra è una delle più antiche testimonianze di questa festa, seguita dal giudizio del parroco Giunta che mi sembra molto calzante: “ Non è propriamente una processione ordinata, ma si potrebbe dire l’ordine nel tumulto il che la rende più commovente”.
             Di recente io e Diego Aleo abbiamo scritto ampiamente su questa processione nel volume “La Grande Eredità”; se ne è occupato anche Carmelo Orofino in diversi giornali e nel libro “Barrafranca, Storia – Tradizioni –Cultura Popolare”, scritto con Salvatore Licata, il quale a sua volta ha pubblicato sul “Giornale di Sicilia” vari articoli sul Venerdì Santo. Per non parlare degli articoli di Luigi Barbaro su “La Sicilia” e delle pubblicazioni di Filippo Marotta, di Vittorio Malfa, di Antonino D‘Aleo, di Giuseppe Giuliana, di Liborio Centonze e di altri, i quali ne hanno dato molte e a volte complesse interpretazioni.
             Le interpretazioni e le motivazioni sulla processione di “u Trunu” dei vari studiosi locali compresa la mia, anche se a volte originali e azzeccate, non hanno, secondo il mio parere, valore di scientificità, in quanto derivanti principalmente da una situazione affettiva ed emozionale, e non da uno studio specifico e specializzato.
             Coloro invece che hanno dato validità scientifica e valore culturale allo studio di questa festa, sono stati i componenti dell’equipe del Centro Linguistico e Audiovisivi Universitario, dell’Università degli Studi di Torino, composta da Ambrogio Artoni, professore di Semiologia dello Spettacolo e Direttore del Centro, Piercarlo Grimaldi, professore di Storia delle Tradizioni Popolari, e da altri assistenti tecnici.
             La loro “lettura” del Venerdì Santo di Barrafranca, come loro stessi mi hanno spiegato, è stata partecipante, perché non si sono limitati a guardare, ma hanno voluto immergersi nella realtà culturale locale, per conoscerla quanto più dall’interno e per “condividerla”.
             Voglio riportare testualmente le loro prime impressioni su questa festa (mi hanno comunicato che si propongono di scriverne più ampiamente in seguito, perché la ritengono molto interessante e soprattutto unica nel suo genere): “Si tratta di una festa senza eguali, frutto non tanto di una tradizione riproposta come spettacolo folclorico, ma di una vera passione collettiva che sa riunire la vostra comunità nell’azione partecipante di tutti i suoi membri. Festa della virilità, rito di passaggio, inno alla fertilità e alla rigenerazione della natura: i significati sono evidenti, ma la loro stessa forza ci sembra essere ecceduta e superata dal vero e proprio miracolo – nella società complessa – di vedere realizzare intorno alla processione del Venerdì Santo la compiuta identità di un’intera comunità, arricchita nell’occasione dalla partecipazione di molti suoi membri che durante l’anno vivono e lavorano altrove, in Italia e all’Estero.
             Quello che colpisce, soprattutto, è l’entusiasmo dei giovani, che nella festa non vedono l’improbabile rappresentazione di un tempo ormai lontano, ma una risorsa per l’oggi, la risposta collettiva a una condizione sempre più connessa all’individualità dell’uomo gettato nel mondo senza patrie e utopie. Realizzando nell’azione rituale, nella sua spontaneità e violenza, il mito delle origini, i giovani di Barrafranca mostrano di saper ritrovare la forza ella tradizione come porta spalancata verso un possibile domani, solidale e produttore di nuova cultura. Il dio solare, il Cristo illuminato e coperto di ori, così diverso da quello della tradizione canonica, ne è la metafora e la rinnovata rappresentazione.”.
              Dalle riprese effettuate dai componenti dell’equipe è stato realizzato un documentario che, come loro affermano, è il risultato parziale del loro incontro con la nostra comunità e con la cultura che esprime. “Un incontro che ci ha arricchito, - confessano -, e che come in poche altre occasioni ci ha mostrato il significato del nostro lavoro, che è quello di dar voce e di far conoscere quanta ricchezza umana e culturale sappiano ancora esprimere le tradizioni orali.”.
              Il video “u Trunu” è utilizzato in sede didattica e scientifica in varie Università europee ed è stato presentato, fino a questo momento al Convegno Internazionale “Antropologia visiva e Culture della Rappresentazione. Il Tempo delle Feste in Europa.”, organizzato dal Consiglio d’Europa, in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche e tenuto nell’Università di Torino; al Convegno del C. N. R. “Sei anni di attività del Comitato Nazionale per la Scienza e la Tecnologia dei Beni Culturali” di Roma; alla Rassegna Europea di Programmi Audiovisiviorganizzata dalla C. E. E. ad Atene; e al Convegno Internazionale di Etnologia di Budapest.         
             Gaetano Vicari

Informazioni aggiuntive