A DON GIUSEPPE BONFIRRARO PARROCO DELLA PARROCCHIA MARIA S.S. DELLA STELLA DI BARRAFRANCA, ED AMICO

         Quando penso a Padre Giuseppe Bonfirraro, scomparso il 16 Dicembre 2009, un mare di ricordi si accavallano nella mia mente, senza trovare uno schema logico in cui collocarsi.
         Come onde che si incalzano, i pensieri di molti anni non riescono a dipanarsi in un inizio ed una successione temporale: quando è iniziata la nostra amicizia alimentata dalla comune passione per la pittura? La memoria lontana di molti decenni sbiadisce nel tempo, e ciò che rimane è un legame fatto di familiarità e rispetto reciproco, che neanche la morte riesce a scalfire.

         La sua esistenza  è stata accompagnata per molti anni dalla malattia, che egli ha trascurato per gli impegni del suo ministero sacerdotale, al quale consacrava tutto se stesso, con una dedizione totale. Non ricordo in quanti ospedali sia stato ricoverato, o quanti interventi, sempre più lunghi e dolorosi, abbia subito: ogni volta però ritornava, come ricaricato di novello fervore, per dedicare la sua vita alla gente, specialmente ai bisognosi.

         A molti che lo osservavano dall’esterno il suo comportamento sembrava contraddittorio.
Egli, che aborriva le ingiustizie, si offriva di segnalare dei “padri di famiglia” disoccupati a datori di lavoro, ai quali a sue spese regalava dei dipinti per far ottenere loro un impiego anche temporaneo…! Quante persone ha “raccomandato”, quanti dipinti ha dato !…non sapeva dire di no a nessuno, forse per timidezza o per non dispiacere gli altri.  Molto spesso era amareggiato, perché il dono non era gradito e la sua arte non era apprezzata, e si riprometteva di cambiare…ma dopo un po’ ritornava a donare e a darsi a tutti, senza risparmiarsi.
         Se ne aveva occasione, tuonava dal pulpito dicendo la “ sua verità”,  senza false ipocrisie.”La verità vi rende liberi”, soleva dire; altre volte non aveva il coraggio di parlare, e si trincerava in complimenti esagerati ed ossequiosi…
         Quando si arrabbiava, si indignava o si amareggiava per il comportamento di alcuni, specialmente delle persone a lui più vicine, dalle quali pretendeva una vita integerrima come la sua, reagiva a volte in modo esagerato, ma alla fine prevaleva sempre in lui il “rispetto” per l’essere umano.
         Quelle che sembravano le sue “contraddizioni” erano in realtà atteggiamenti che scaturivano dal rispetto e dall’amore per gli uomini, specialmente per gli umili, e da una fede vera e profonda.”Nella Sua volontà, è la mia pace” era solito ripetere.

         Il male intanto avanzava inesorabilmente, minava il suo viso e il suo corpo, ma non scalfiva il suo spirito, il suo entusiasmo e il suo offrirsi interamente al prossimo ed alla Parrocchia, che considerava come la sua seconda casa.
         Dopo un primo periodo di cecità completa alla quale si era a stento rassegnato, con un intervento innovativo in una clinica di Roma riuscì a riacquistare la vista di un occhio, con la speranza di vederci anche dall’altro.
         Ed ecco un nuovo tempo di fervore e di impegno artistico, durante il quale creò i suoi ultimi dipinti, mai risparmiandosi nel suo ministero pastorale, per il quale elargiva tutti i suoi averi, nulla serbando per sé, neanche per i bisogni essenziali e per le cure necessarie. Viveva alla giornata, donando o spendendo tutto ciò che aveva, con una generosità che a volte rasentava la prodigalità; non accumulava per sé (.. non accumulate tesori sulla terra…), non pensava al suo domani, ma confidava nella Provvidenza (…dacci oggi il nostro pane quotidiano…).
         Era un prete fuori dagli “schemi”, spesso scomodo: denunciava dal pulpito le ingiustizie e le arroganze dei potenti e dei politici, a volte tuonava contro “i mercanti del tempio”. Dava tutto al prossimo ed alla chiesa, viveva del necessario, era povero: per questo era “mormorato”; era ben voluto da alcuni, e mal sopportato da altri..

         Con il tempo la malattia andava aggravandosi. Perse di nuovo la vista e questa volta per sempre, ma non si rassegnò, trovando sempre la voglia di combattere, di aggrapparsi alla più piccola speranza…ancora viaggi alla clinica di Roma con la fiducia di recuperare di nuovo la vista…ma il male corrodeva dall’interno il suo viso, i suoi occhi, la sua testa.
         Mi chiedevo dove prendesse l’energia per lottare, per non farsi vincere dal male. Non ha mai manifestato rammarico con la richiesta del  perché della sua infermità, non si è mai lamentato; forse non ha mai pregato solo per sé, ma soprattutto per gli altri.
         Ogni volta che andavo a trovarlo e mi accomiatavo da lui, mi salutava con queste parole:”Professore, preghi per me!”
         Durante la lunga malattia, che lo costringeva a casa accudito sempre dall’instancabile e vigile signora Libina e medicato dal generoso Alessandro, le visite degli amici, dei conoscenti, dei confratelli e dei parenti andavano scemando fino a rimanere i più intimi a visitarlo regolarmente. Di questo un po’ si rammaricava e mi ripeteva  il famoso proverbio: “I veri amici si vedono nel bisogno”.
 
         Negli ultimi tempi restammo in pochi a frequentarlo, anche perché il suo viso corroso era inguardabile. Io, quando andavo a visitarlo, mi accorgevo che il suo spirito perdeva man mano la forza di resistere, ma manteneva la “dignità” di vivere, se pur nella sofferenza silenziosa e nella  solitudine buia..”Mi fanno compagnia Gesù e la Madonna” si consolava, mettendosi tutto nelle loro mani  La fede profonda gli faceva accettare la malattia con rassegnazione: “Facciamo quello che vuole il Signore”.
    Continuavo a chiedermi dove trovasse ancora il desiderio di vivere,  egli che era diventato tanto gracile e non aveva più l’energia di alzarsi dal letto…gli ultimi giorni, quando la sofferenza ormai era indicibile, mai un lamento uscì dalla sua bocca, anche se ammetteva che “il mal di testa non lo abbandonava più!”
  
         L’agnello ormai era purificato per entrare nel Regno del Padre…!
   
         Durante la mia ultima visita, prima che io andassi via, mi salutò pronunciando a stento queste parole: “Grazie.., professore!”

      Grazie a te, padre Bonfirraro
- per averci insegnato ad amare la vita, nonostante tutto
- per averci insegnato a non perdere la dignità, anche nella sofferenza
- per averci insegnato ad indignarci di fronte alle ingiustizie
- per averci insegnato a confidare nella Provvidenza
- per averci insegnato ad anteporre a tutto il rispetto della persona
- per averci insegnato ad amare gli altri, soprattutto gli umili, come noi stessi
- per averci insegnato a non aver paura di dire la verità
- per averci insegnato che la vera fede smuove le montagne
- per averci insegnato che le vere ricchezze sono quelle del Cielo
Grazie!

Barrafranca, Gennaio 2010                                                                    
                                                            Gaetano Vicari

 

ARTICOLO SULLA TAVOLA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI A BARRAFRANCA

Ancora un’occasione mancata

PREGEVOLE OPERA D’ARTE SCOMPARSA A BARRAFRANCA

Si tratta di una tavola pregiottesca di inestimabile valore, citata in tutte le guide più importanti della Sicilia -Nessuno  sa dove si trovi – Appello alle autorità competenti.


     Barrafranca – Una tavola pregiottesca di inestimabile valore, che si trovava a Barrafranca presso la Chiesa del convento di S. Francesco, è inspiegabilmente scomparsa senza che nessuno sappia dove attualmente si trovi. Eppure è un dipinto molto importante, di cui studiosi ed esperti di Storia dell’Arte hanno scritto nel corso dei secoli.
       Il quadro rappresenta S. Maria degli Angeli con accanto la figura di S. Francesco, circondata da piccole scene con i miracoli del Santo. Questa descrizione, fatta da Filippo Cagliola nel 1644, testimonia l’esistenza a Barrafranca di quest’opera, che reca anche scritta la data di esecuzione, addirittura il 1244.
      Abbiamo anche altre testimonianze che attestano la presenza di questa pala a Barrafranca: quella dell’umanista  Cristoforo Scobar del 1510; del Tossignano del 1586; di Fra Dionigi di Pietraperzia del 1776; e più recentemente del Nicotra del 1907 e del Vicari del 1984.
      Ad occuparsi esaurientemente della tavola è stato il sacerdote Luigi Giunta, il quale nella sua opera su Barrafranca del 1928, affermava di aver visto il dipinto di S. Maria degli Angeli nel coro della Chiesa del convento di S. Francesco. Il Parroco però asseriva che il quadro era eseguito ad olio e non aveva dipinto i miracoli di S. Francesco, e che quindi non poteva trattarsi dell’antica opera di cui gli studiosi parlano, perché la pittura ad olio fu introdotta in Italia da Antonello da Messina nel 1400.
      E allora dove si trova la pala originale?
Il dottor Angelo Ligotti, insigne studioso barrese di fama nazionale, ha cercato di dare una risposta a questa domanda, scrivendo in un articolo, pubblicato anni fa, che la tavola di S. Maria degli Angeli fu trasportata nel 1500 dai Moncada (una ricca famiglia d’usurai ebrei) da Barrafranca a Caltanissetta, dove attualmente si trova presso il Collegio di Maria. Ma anche questo quadro risulta dipinto ad olio e su tela e non reca né la figura di S. Francesco né i suoi miracoli. A parte questo, dallo stile, dalla composizione e dai colori sembra un dipinto  molto più recente, eseguito nel periodo rinascimentale.
       Attualmente presso la Chiesa del convento di S. Francesco di Barrafranca non c’è traccia dell’opera descritta dal Giunta e quindi anche quella che, egli riteneva una copia, è andata perduta. Nessuno degli studiosi di storia locale, né i vecchi Parroci ancora in vita ne sanno notizia, anzi alcuni ne ignorano l’esistenza, come la maggior parte dei Barresi.
       La pregevole pala pregiottesca e quella considerata dal Giunta una copia di epoca più recente, che fine hanno fatto? Si sono perdute come migliaia di opere d’arte che spariscono ogni anno nel nostro Paese.
       Barrafranca ancora una volta ha sprecato un’occasione di sviluppo culturale ed economico, perché nel corso dei secoli non ha saputo  conservare e valorizzare il suo patrimonio architettonico ed artistico, ed ha permesso che andasse distrutto per ignoranza ed incuria. Molte, infatti, sono le opere di valore culturale, storico ed artistico che il nostro paese non si è curato di salvaguardare . Tanto per citare qualche esempio a caso: il Castello di Convicino con la sua celeberrima Torre, il Carcere (dove ora sorge un orrendo Edificio Postale), la Chiesa di S. Giuseppe…e l’elenco potrebbe continuare ancora.
        Io, pertanto, rivolgo un appello alle autorità competenti, affinché si interessino di ricercare e ritrovare la preziosa tavola di S. Maria degli Angeli, per restituirla, se non sia stata irrimediabilmente rovinata, al suo paese di origine.        
Pietro Vicari

Classe IV B  Liceo Scientifico “Giovanni Falcone”           Barrafranca, 21/03/1999.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DALLA SCELTA DEGLI SCRITTI DI GINO NOVELLI, TRACCIA IL SUO PENSIERO E IL SUO PROFILO DI UOMO

      Le celebrazioni del centenario della nascita di Gino Novelli, indette dal Comune di Barrafranca, mi hanno fatto accostare all’opera e alla vita di questo poeta e scrittore.  Ho scoperto, anzi riscoperto, un nostro poeta di cui appena sapevo il nome, ma che era conosciuto, apprezzato e stimato da letterati e critici nazionali.
     Gino Novelli, pseudonimo di Gaetano Ciulla, nacque a Barrafranca il 10 Aprile del 1899 da una famiglia benestante. Suo padre era il notaio Calogero Ciulla e la madre Stella discendeva dalla famiglia Ingria, una delle più note del paese. Dopo la fanciullezza trascorsa a Barrafranca, sposò Teresa Ippolito, con la quale abitò a Palermo, dove partecipò attivamente alla vita letteraria, facendo il capo redazione della rivista di Storia, Filosofia e Letteratura “Tradizione” e fondando la rivista di poesia “Lumi”, di cui fu direttore. Ma un fatto doloroso colpì la sua vita: la morte della moglie, dalla quale aveva avuto due figli Angelo e Calogero, (Ninì e Giugiù, come egli affettuosamente chiamava). Si trasferì quindi a Barrafranca ove, nella pace e tranquillità del paese natio, si dedicò completamente al suo lavoro di letterato. Collaborò con alcuni quotidiani siciliani e nazionali, come “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, “L’Avvenire d’Italia” e “L’Osservatore Romano”. Nel 1962 si stabilì a Catania, dopo avere sposato la signora Concettina Tirone, ed in questa città visse fino alla morte, avvenuta il 12 Aprile del 1975.   
    Di salute cagionevole, soffrì molto a causa delle sue malattie tra cui una fastidiosa bronchite, che man mano andò acuendosi fino a togliergli ogni interesse anche per l’attività che costituiva la ragione della sua esistenza. Gli ultimi due anni della sua vita egli non scrisse più ed è famosa ed emblematica la frase che una volta pronunciò: “Gino Novelli è morto, ora si aspetta la morte di Gaetano Ciulla”.
     Per cancellare ogni traccia dello “scrittore e del poeta”, distrusse molti suoi
manoscritti e le lettere che lo legarono ai letterati e agli uomini più cari e più
importanti del tempo quali Salvatore Quasimodo, Giorgio La Pira, Piero
Bargellini e molti altri. Questa corrispondenza epistolare era il filo che lo legava al mondo culturale nazionale ed internazionale e il modo per dialogare con persone che potessero capire ed apprezzare la sua attività poetica e letteraria , per non rimanere soffocato dalla immobilità della vita paesana, priva di interessi e di stimoli culturali.
     Per volere dei parenti dopo la morte, il suo corpo fu seppellito a Barrafranca
dove riposa all’ombra dei cipressi del piccolo Cimitero, reso celebre dal suo racconto
“Tutti là…”.
    Due sono i motivi ispiratori , che si intrecciano, a volte rivelandosi
in modo predominante, altre volte velandosi in modo discreto, nella sua produzione letteraria: la religiosità e il dolore.
            La religiosità è sentita e vissuta come ragione di vita e pervade tutte le sue azioni, i suoi atteggiamenti ei suoi pensieri. E’ inculcata in lui, fin dalla più tenera età, dagli insegnamenti della madre e rimarrà come convincimento profondo per tutta la vita.
     La sua concezione religiosa è riassunta nella pubblicazione “L’istanza del
divino oggi”, in cui il Novelli conclude che “la religiosità deve essere non 
testimonianza di parole, ma di opere, in ispirito di totale servizio. Non parlare, ma vivere, in una documentazione quotidiana, intellegibile anche dai più lontani e ignari, della autenticità del Cristianesimo. Lasciar penetrare il Mistero della nostra vita, fino ad essere fatti noi stessi mistero agli altri.” Negli altri scritti il sentimento religioso riaffiora sempre, ora come riscatto di vita, ora come testimonianza di richiamo divino, riecheggiato particolarmente dal suono delle campane, o dal ricordo infantile degli Angeli.
  Il dolore fa parte della vita del Novelli, il quale con l’avanzare dell’età e con
l’acuirsi dei malanni, sente aumentare in intensità nel fisico, tanto da fargli
affermare che il suo letto, in certe notti insonni, è pieno di patimenti. La sofferenza però non è vissuta disperatamente e inutilmente, ma è accettata in modo cristiano e rassegnato, come causa di espiazione e come sacrificio per acquistare una vita migliore. In molti suoi scritti è presente il concetto del patimento, ora gridato in
modo straziante, ma sempre contenuto e mai disperato, ora soffuso in una vena
malinconica che tutto avvolge come nebbia.
         Nelle opere, e in particolare nelle sue poesie, acquista una peculiare importanza l’uso della parola. Come scrive Guglielmo Lo Curzio “le parole acquistano una loro essenziale profonda purezza, un loro mero valore di vibrazione umana e di umile trasparente configurazione. Nessuna lusinga verbale, nessun abbaglio prezioso nessun inganno letterario: un semplice, scarno quasi disadorno discorso, che prende efficacia, forza, luce da un intimo fuoco che riscalda o infiamma le parole, le riverbera di contenuta eppur drammatica commozione, le illumina e solleva in un
clima di poesia”.Parole dunque le sue dal significato pregnante e pieno di emozioni.
          Molti altri sono i contenuti che emergono dalla sua attività di narratore, critico, saggista, giornalista e soprattutto poeta. Citerò solo quelli più importanti come il problema della guerra, che lui aborriva in un anelito di pace; il disprezzo per “la mediocrità e il compromesso di tanti cattolici – o pseudo tali -, impegnati nella vita pubblica che mostravano invece la debolezza e la superficialità del loro carattere e la disonestà e le ingiustizie nel loro operare;” la sua concezione del Comunismo visto sia come partito politico che come idea filosofica contraria al Cristianesimo.
          Leggendo in particolare le sue poesie si scorge un altro tema che è presente costantemente: la nostalgia delle cose amate e delle cose di ogni giorno, che acquistano nuove dimensioni e si trasfigurano. Si potrebbero  definire perciò poesie delle piccole cose, (gli oggetti della sua stanza, il letto, i mobili, la finestra, le persiane…), che sembrano inutili, ma che vengono trasformate e immerse in un mondo nuovo, tutto intimo e personale. Poesia la sua piena di pianto e di rimpianto immersa in un’atmosfera sospesa tra terra e cielo.
           Quanto affermato sopra, scaturisce dalla descrizione del suo paese e della sua terra, in cui traspare tutto l’amore che egli prova per i luoghi della sua fanciullezza.
     Soprattutto sono descritti la vallata di “sottoserra” con il “costone”, la
cappelletta del “Signore Ritrovato”, le contrade “dell’Albana”, di “Camitrici” e di “Friddani” e la salita della “Catena”…
      “La vallata di sottoserra sembra marina, perché c’è la nebbia che sale
azzurrognola e soffice, e laggiù Monte Navone e Monte Pizzuto emergono, come scogli ciclopici.”
             “La luna alta, bianca governa la nottata e dà respiro agli alberi e ai corsi d’acqua che abbondano nei pendii di tanti colli: Friddani, Camitrici, Albana.”
               “Le cicale fremono nei grandi platani di Villa Agatina e le colline degradano verso Pietraperzia. In qualche punto, imprecisato, oltre le colline si stendono i vasti prati dell’ Albana, dove passai l’infanzia e ancora il ricordo conserva la presa sugli affetti lontani.”
               “Lasciata la ‘Catena’ dove la strada si biforca per Piazza Armerina e Barrafranca, c’è l’ultimo chilometro che porta al mio paese. Un chilometro di salita, ma che si fa in un soffio.”
               Egli non disdegna di nominare il suo paese nelle sue poesie (“Barrafranca, piccolo paese dimenticato…”), ricordando anche i punti a lui familiari, (la piazza con il campanile, la sua casa, la sua via…) e questo è il più grande atto di amore che un barrese possa fare al suo paese natale, diffondendone un’immagine positiva e piena di poesia. La Barrafranca che egli descrive è quella della sua fanciullezza cambiata dalla visione gioiosa dei ricordi più belli, in cui i gli ambienti acquistano una dimensione sognante per la presenza delle persone più care, come la mamma, la nonna, le zie, la moglie, i figli….In molti suoi scritti c’è la descrizione del ritorno alle contrade amate da bambino e la delusione di non trovarne più l’antica familiarità; posti ormai estranei per lui divenuto adulto, anche per l’assenza dei componenti della sua famiglia.
               Ed ecco un altro tema prediletto dal Novelli, quello della famiglia, sentita come porto di pace, i cui membri si sostengono reciprocamente in un afflato di amore cristiano, fino a compiere, se necessario, dei sacrifici per il bene degli altri.
            Come ho detto prima egli era in corrispondenza ed aveva contatti con le più alte figure letterarie del suo tempo e con personaggi importanti di altre nazioni. A queste personalità illustri egli non nascondeva di essere nato in un piccolo paese della Sicilia;  non si vergognava di essere barrese e siciliano, ma ne era fiero perché capiva ed apprezzava la bellezza della sua terra. Egli definiva la Sicilia: “Terra ardente e dolorosa, dove anche i contadini sono diversi dagli altri contadini. Hanno facce pensose, tristi, che si rischiarano solo quando le spighe sono ricolme e i solchi fumano come incensieri”. Soprattutto egli celebrava il profumo della Sicilia caratterizzato dall’odore della zagara e delle arance.
             Dopo aver letto, approfondito e gustato l’opera letteraria di Gino Novelli, ho riscoperto una nuova immagine della Sicilia e soprattutto del mio paese, Barrafranca, filtrata e purificata dalla visione poetica dello scrittore, che io considero un letterato degno di essere valorizzato. Per testimoniare la validità della sua opera basterebbe citare, oltre a quello di molti altri, il giudizio che il grande poeta Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura, suo contemporaneo, espresse su di lui, definendolo non a torto “Maestro della penna”.  
                                                  Pietro Vicari 
                                                              
                           

ARTE ED ARTISTI A BARRAFRANCA (Aggiornato a Novembre 2015)

        Parlare di arte per me è molto facile perché sono cresciuto in mezzo ai colori, alle tele e ai pennelli. Ho visitato quasi tutte le mostre locali, in quanto mio padre, GAETANO VICARI, è uno dei pittori di Barrafranca (per me il migliore) conosciuto soprattutto per aver dipinto il quadro della Compatrona “Maria S.S. Della Stella”, attualmente venerata nella Chiesa omonima. Naturalmente mi asterrò dal giudizio critico sull’opera pittorica di mio padre, perché si potrebbe pensare essere di parte; comunque voglio riportare quello espresso su di lui dal grande artista contemporaneo ENRICO BAJ: “…la sua pittura è ammirevole perché ha radici profonde in una lunga e disinteressata passione”. Posso affermare anche e nessuno mi può smentire che GAETANO VICARI è stato colui che ha iniziato la tradizione pittorica barrese (a lui si deve la prima mostra di pittura organizzata nel 1967 nel nostro paese). Grazie alla sua iniziativa ed alla sua tenacia, altri hanno intrapreso l’attività artistica, alcuni anche con ottimi risultati. E’ innegabile che mio padre e la sua scuola, che ha formato artisti come Padre GIUSEPPE BONFIRRARO grande pittore e ritrattista, VIGI (GIUSEPPE VICARI) dall’originale ispirazione prettamente surrealista, ANTONINO MILAZZO, UGO AVOLA FARACI, LIBORIO CUCCHIARA, CALOGERO LANZA, ed infine CALOGERO MINGOIA, costituiscono ancora oggi un punto di riferimento per l’arte barrese.
        Verso la fine degli anni sessanta, cominciarono ad emergere a Barrafranca degli artisti che cercarono un linguaggio diverso dal tradizionale e a volte anche sperimentale. Mi riferisco in particolare a CARMELO OROFINO il quale, dopo un periodo informale, prendendo spunto dal realismo, è arrivato ad uno stile pittorico originale e poetico Peccato che la sua genialità artistica non si sia manifestata con continuità nell’arte pittorica! Da ricordare anche GIUSEPPE OROFINO e GAETANO OROFINO, fine cesellatore di sbalzi in rame; LIBORIO TOMASELLO, precursore delle attuali installazioni; SALVO CATALANO e GIOVANNI MAUCERI  con i loro quadri surreali; SALVATORE COSTA, dalla tematica particolare e personalissima; ANGELO TAVELLA, pittore e ceramista; ROBERTO CAPUTO artista dalla vena realista e decoratore dei famosi carretti siciliani; GIUSEPPE PUZZANGHERA, che oltre al lavoro di pittore, si dedica a quello di stucchista e decoratore.

    In questo periodo EMANUELE PINNISI, con le sue sculture d'avanguardia emotivamente deformate e demistificate, raggiunge una meritata fama in Argentina.

         Vive ed opera a Cene (Bg) ALESSANDRO AMOROSO, pittore realista, la cui produzione è degna di Pietro Annigoni, artista di cui il nostro ha frequentato lo studio. 

        I Bevilacqua hanno dato a Barrafranca molti artisti, ma mi preme ricordare la pittura dell’architetto ANGELO BEVILACQUA dalle pennellate violente e strazianti e dalla sensibilità estremamente lirica. Di recente si è distinto GIUSEPPE BEVILACQUA per le sue terracotte dal gusto classicheggiante che rivisitano il mondo del Mito, e per le sue ceramiche. Alla ceramica si dedica pure GIOVANNI RUGGERI, dopo un’esperienza artistica che lo ha portato a contatto con i migliori artisti nazionali ed internazionali presso “l’Atelier sul Mare” di Castel di Tusa.
        Anche le donne hanno un ruolo importante nella vita artistica barrese. ADRIANA SATARIANO, MARIA LUISA SPAGNOLO, MARIA COSTA, SILVIA PATERNO’, ROSA FARACI, ADRIANA NAVARRA, LUCIA COLLERONE ed altre… portano avanti un discorso pittorico dal cromatismo spesse volte tenue e delicato, accostandosi al soggetto presentato con sensibilità e con sfumature chiaroscurali che ne alleggeriscono i contorni.
        Per quanto riguarda la scultura, due nomi mi vengono subito in mente ALESSANDRO BONFIRRARO e GIUSEPPE CRAPANZANO. Il primo, oltre a realizzare potenti sculture in legno, si dedica anche con successo alla pittura; il secondo scolpisce dei bassorilievi in marmo dalle forme nitide e levigate. GINO FARACI si è fatto conoscere per le sue opere in ferro battuto e per le pirografie, e ANGELO SALVAGGIO per le sue statue ispirate a modelli classici.
        Non mancano nel panorama del mondo artistico barrese i pittori naif. GIUSEPPE MELI, GIUSEPPE MUSOLINO e FILIPPO ALEO raggiungono dei risultati felici, con un modo di dipingere immediato, perfettamente rapportato alla semplicità del tessuto pittorico ed alla sintesi delle immagini proposte.
        Voglio ricordare infine altri barresi che si dedicano all'arte, le nuove leve e gli artisti emergenti che, con le loro opere innovative e d’avanguardia, cercano di rinnovare l’arte nel nostro paese. Mi riferisco a CARMELO ACCARDI, SALVATORE ALEO, NINO AMORE, GIOVANNI AMOROSO, LINA ARENA, VALENTINA AVOLA, FRANCESCO BALSAMO, GAETANO BEVILACQUA, VALENTINA BONINCONTRO, MASSIMO CALABRESE, LUIGI COSTA, CHIARA CRAPANZANO, MARIA STELLA FARACI, KATIA FLAMMA', STEFANIA GIUNTA, GIOVANNI GRILLO, ANGELA INGALA, SALVATORE INGALA, GAETANO INVIDIATO, ANTHONY LA PUSATA, SALVATORE LIGOTTI, Sac. BENEDETTO MALLIA, LILLO MAROTTA, LIBORIO MESSINA, SANTO NICOLETTI, STELLA NICOLOSI, TALITA OROFINO, FRANCESCO PATERNO' e DENISE TAMBE' (DEFRA), GIUSEPPE PATERNO', GAETANO PUZZANGHERA, ANGELICA RUGGERI, GIUSEPPE RUGGERI, PASQUALE RUSSO, GIUSEPPE SALAMONE, ESTELLA SALDIGLORIA, SALVATORE SALDIGLORIA, ADRIANO SALVAGGIO, CONCETTA SCIASCIA CANNIZZARO, ANGELO SICILIANO, GIUSEPPE SICILIANO, MICHELA SICILIANO, NINO SOTTILE, ERIKA SPAGNOLO, GINO STRAZZANTI, VALENTINA TAVELLA, GIUSEPPINA TROPEA, ANGELO TUMMINO, ROSETTA VITALE, YURI ZUCCALA'…il cui denominatore comune è sicuramente l’uso di un linguaggio realista tendente ad una certa astrazione, e l’ideologia progressista e a volte contestatrice. Alcuni di questi artisti operano nel nord Italia. 

       Un discorso a parte merita STEFANO CUMIA che, dopo essersi creato uno spazio tutto originale nell’ambiente artistico palermitano, attualmente si sta facendo conoscere a Milano dove si è trasferito ed opera. Nel 2015 è stato uno dei protagonisti del prestigioso Premio Cairo. (Di recente la Rivista "Arte-Mondadori" gli ha dedicato un ampio servizio).

         Desidero ricordare, infine, uno dei grandi artisti del passato il mio trisavolo GIUSEPPE FANTAUZZO (Barrafranca 1851-1899), che ha lasciato al nostro paese molte opere. tra cui i bellissimi stucchi della chiesa Maria S.S. della Divina Grazia, quelli della chiesa Maria S.S. dell'Itria e la dolcissima statua di S. Luigi nella chiesa Maria S.S. della Stella.
        Questo mio scritto, che non vuole essere una panoramica esauriente dell’arte nel nostro paese, riporta delle semplici impressioni di un osservatore attento alla materia. Tra quelli non nominati è immancabile che possano esserci dei validi artisti…Per concludere vorrei far riflettere i lettori sulla seguente e sostanziale distinzione tra pittori che si dedicano all’arte con continuità, passione e sacrifici…e dilettanti che dipingono sporadicamente e che possono quindi definirsi “pittori della domenica”.
                                                                                      PIETRO VICARI
    
       

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